Review on the Vatican s paper Osservatore Romano 28 settembre 2020 , In una potente scena di Mission di Roland Joffé, uno dei protagonisti, padre Gabriel, si inoltra in una piccola foresta pluviale, sopra le Cascate di Iguazú. Scala in solitaria le rapide impetuose, aprendosi la via in una natura primordiale e non carrozzabile. Raggiunge una tribù di Guaranì, che subito lo scambia per uno dei tanti conquistatori europei e lo scaccia. Il missionario gesuita non ha mezzi per convincere i nativi della bontà delle sue intenzioni e nessuna lingua a sua disposizione può essergli utile. Così, estrae un piccolo strumento a fiato, sconosciuto in quei paraggi. Vi «soffia» dentro il tema principale del maestro Morricone, Gabriel’s Oboe. E i guaranì capiscono, in un istante, che l’anima dello straniero è anima buona e bella. Un tale soffio di grazia non può venire da un invasore. Ed è stato, in un senso più ampio, proprio questo soffio universale, questo afflato mistico del «respiro» il tema della «Torino Spiritualità 2020», che si è conclusa domenica 27 settembre. Ed è stato particolarmente emozionante raggiungere i diversi poli di questa rassegna «diffusa», attraverso la Torino di oggi, che è identica a tutte le nostre città e spaventata come tutte le nostre città. Gli autobus erano colmi di persone col sorriso e il respiro riparati dalle mascherine. Persino gli artisti di strada e gli ambulanti erano più discosti e più isolati. Gli incontri blindati e a ingresso ristretto. In questi giorni, tutto era più appartato e un po’ più triste, a Torino. C’era meno fiato, ovunque. Perciò, siamo convinti che nessun tema risponda meglio dei nostri tempi. Armando Buonaiuto, curatore del festival, promosso dalla Fondazione Circolo dei Lettori, ha dichiarato che quest’anno il respiro è improvvisamente «uscito fuori dal cono d’ombra dell’abitudine». Il tema del respiro, oltre a essere drammaticamente attuale, si presta bene alla meccanica di una rassegna di questo tipo: il concetto di respiro è fondamentale per le filosofie e le religioni, sin dall’antichità. E naturalmente è anche oggetto di studio delle scienze naturali e della musica, dell’arte e della psicologia. Il termine «respiro» ha sempre portato più in là del semplice atto dell’emettere e dell’immettere fiato. Si è sempre prestato benissimo alla trasposizione simbolica e all’immaginario rituale. Nel senso comune di moltissime culture la morte è quel momento in cui l’anima abbandona il corpo attraverso il suo respiro ultimo. I presocratici identificavano l’anima col respiro (pneuma) e amavano osservare come l’otre vuoto si gonfiasse, riempiendosi di materia, una volta che vi si fosse soffiato dentro. Gli stoici credevano che il respiro appartenesse al dio che dà a tutte le cose vita e tutte le guida secondo i suoi voleri. La religione ebraica vede nel respiro (ruah) la potenza divina, che può riempire di sapienza i suoi profeti. Noi stessi abbiamo tradotto l’ebraico ruah hakodesh col termine pneuma, respiro, il nostro concetto di Spirito Santo e ne abbiamo tratto una branca filosofica e teologica, la pneumatologia, di conio leibniziano. Ma uscendo dal pensiero filosofico puro, molte sono ancora le flessioni del respirare nella pratica religiosa. Venerdì pomeriggio, il teologo polacco, Maciej Bielawski, ha approfondito il rapporto tra meditazione e preghiera, guidandoci attraverso l’atto del concentrarsi sul proprio respiro, prassi tipica dello yoga, ma anche di molte pratiche cristiane come l’esicasmo, che sa «respirare il nome di Dio» nella pace e nella contemplazione. Quest’anno, però, il respiro ha incrociato sensi inediti e assai meno cordiali. Abbiamo sperimentato la paura del respiro. Qualcosa che non conoscevamo o, forse, solamente non ricordavamo: l’aver timore di respirare. Ci siamo sorpresi ad avere paura della più automatica delle azioni, e anche della più vitale delle azioni. Improvvisamente, e non senza ragione, abbiamo iniziato ad avere paura del respiro del nostro prossimo. Soltanto nel nostro Paese, 35.835 persone sono morte, infettate dal respiro, e in carenza del respiro. 985.283 fratelli e sorelle nel mondo se ne sono andate per mancanza di respiro e lontane dal respiro dei loro cari. Quest’anno abbiamo assistito anche agli ultimi momenti di un uomo, rantolante sull’asfalto di Minneapolis; la gola schiacciata dal ginocchio di un altro uomo, con la divisa da poliziotto. Il suo ultimo grido è stato: I Can’t Breathe, ormai lo conosciamo tutti, «non riesco a respirare». Questo, sì, è proprio l’anno del respiro e gli organizzatori sono stati bravi a coglierlo prima di noi. I loro ospiti hanno declinato questo tema in moltissime variabili e con rotte sorprendenti e inattese. A inaugurare il festival, giovedì 24 settembre, un incontro con Vito Mancuso e Alessandra Viola dal titolo Di uomini e di piante. Il respiro dei viventi. Una riflessione profondissima sull’universo impenetrabile dei vegetali, sulla loro natura silente immobile, mossa da domande assai affascinanti: «e se le piante fossero molto più che il placido e variopinto sfondo dei viventi? E se fossero maestre silenziose di spiritualità?». Parlare di respiro, in fondo, non può prescindere dal parlare di loro, della loro fisiologia, della loro relazione con il mondo. Nella giornata di sabato, abbiamo fatto visita a un gioiello nascosto del circuito museale torinese, il MAO (Museo d’Arte Orientale). Chiedendo indicazioni, ci siamo accorti che persino molti residenti non ne avevano mai sentito parlare ed è un vero peccato. Ci ha incantati l’abitacolo di vetro immerso nei giardini giapponesi. Abbiamo ascoltato il soffio che si fa suono nello shakuhachi, tradizionale flauto verticale in bambù, grazie ad un suo vero virtuoso, l’artista svizzero Marco Lienhard. Mentre il maestro suonava il motivo giapponese del Nido della Gru, ci è parso di sentire il verso frignante e dolcissimo dell’uccello dal lungo collo. Francesco Puleo ha letto testi selezionati dalla Rev. Elena Seishin Viviani, tra cui una splendida poesia di Mariangela Gualtieri, che dice: «Ringraziare desidero», in tanti modi e a tante cose. Ci ha ricordato il Laudato si’: «Ringraziare desidero (…) per la quiete della casa, per i bambini che sono nostre divinità domestiche, per l’anima che consola il mio girovagare errante, per il respiro che è un bene immenso». Qualcuno ascoltava tenendo gli occhi chiusi, qualcuno si teneva la mano, qualcuno meditava. Un’esperienza di delicata bellezza. Sempre nella giornata di sabato, la filosofa e saggista Francesca Rigotti ha allargato il discorso ad altri elementi usati dalla filosofia e dalla letteratura come simboli dell’esistenza umana, in un incontro intitolato Del principio vitale: respiro, vista, battito. Domenica 27, Giulio Busi, direttore dell’Istituto di giudaistica alla Freie Universität di Berlino ha tenuto un intervento sul soffio divino nella mistica ebraica. Monsignor Derio Olivero, reduce dal covid, ci ha trasmesso la gioia del respirare e ci ha insegnato quello che lui stesso ha imparato dalla tormentata esperienza della malattia: «Ogni respiro è un regalo», sotto il segno della meravigliosa Crocefissione bianca di Chagall. Tanti altri ospiti hanno aperto piccoli valichi nel tema del respiro: Maurizio Ferraris, Piero Marcelli, il Lama Michel Rinpoche, Ivano Dionigi, Massimo Recalcati... Da ciascuno abbiamo imparato qualcosa di nuovo e personale sul respiro. Da tutti abbiamo imparato che respirare non è scontato, ma è un miracolo, e che possiamo cominciare ad augurarci, buon respiro, prima di qualsiasi altra cosa. di Roberto Rosano Cultura Invia Stampa Scarica l'App de L'Osservatore Romano” - Roberto Rosano

The Vatican's paper: Ossetvatore Romano

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